Pillole di coaching

IL FAIR PLAY NON E’ PIU’ DI MODA

Poco tempo fa si è corsa la Parigi-Brest Paris una randonnè di oltre 1200km, non agonistica alla quale si può partecipare dopo il conseguimento di determinati brevetti rando. E leggendo sui vari social mi è capitato di trovare notizie che dicessero che, più di un partecipante, per accorciare la distanza e per stabilire un tempo di percorrenza inferiore, sia salito sul camper di qualcuno compiacente.

La notizia, inizialmente mi ha fatto sorridere ma poi è subentrata la delusione nel riscontrare, ancora una volta, la mancanza di correttezza in una competizione sportiva.

La stessa delusione che ho provato nelle ultime gare di triathlon, a cui ho partecipato, dove la scorrettezza sembrava essere l’unica carta valida per dimostrare il proprio valore sportivo.

Mi sono chiesta per quale motivo un’atleta si senta in diritto di non rispettare il regolamento di una gara e in generale delle Federazione a cui appartiene?

L’anno scorso durante un olimpico, molto pubblicizzato e frequentato, dove la scia è consentita ho assistito a scene indegne di essere definite sport: mancanza di etica, di rispetto nei confronti degli avversari, inosservanza di qualsiasi regolamento federale.

Aspetti che, a mio avviso, innescano un facile disinnamoramento della disciplina. Per lo meno da parte di chi desidera giocare in maniera pulita.

Mi è capitato di assistere ad atleti che, fermati da un problema meccanico alla bici, se la facessero sistemare dagli spettatori alla gara, oppure di vedere donne che, in barba a qualsiasi regolamento, facessero scia con gli uomini e una volta richiamate all’ordine ti rispondessero che lo avevano già fatto altre, per cui, a loro dire consentito.

Entrambe le atlete erano poi andate a podio, probabilmente un caso, ma non credo…

Una volta lo si chiamava “fair play” e cioè osservare un comportamento eticamente corretto nelle diverse discipline sportive.

Fair play significa rispettare le regole e l’avversario, accettare e riconoscere i propri limiti, sapere che i risultati sportivi ottenuti sono connessi all’impegno impiegato, promuove valori tanto importanti nella vita quanto nello sport come l’amicizia, lo spirito di gruppo e il rispetto del prossimo.

Una sorta di codice d’onore valido nello sport quanto nella vita, tanto importante da far sì che, nel 1975 venisse redatto, dal Comitato Internazionale di Fair Play, “la Carta del Fair Play” un documento che elenca dieci concetti fondamentali:

  1. Fare di ogni incontro sportivo, indipendentemente dalla posta e dalla importanza della competizione, un momento privilegiato, una specie di festa;
  2. Conformarmi alle regole e allo spirito dello sport praticato;
  3. Rispettare i miei avversari come me stesso;
  4. Accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi, sapendo che, come me, hanno diritto all’errore, ma fanno tutto il possibile per non commetterlo;
  5. Evitare le cattiverie e le aggressioni nei miei atti, e mie parole o miei scritti;
  6. Non usare artifici o inganni per ottenere il successo;
  7. Rimanere degno della vittoria, così come della sconfitta;
  8. Aiutare ognuno, con la mia presenza, la mia esperienza e la mia comprensione;
  9. Soccorrere ogni sportivo ferito o la cui vita sia in pericolo;
  10. Essere un vero ambasciatore dello sport, aiutando a far rispettare intorno a me i principi

Seppur la forma possa sembrare anacronistica io credo che, una delle valenze più importanti dello sport, sia proprio quella d’imparare a giocare in maniera onesta, di diventare ambasciatore di valori morali importanti e non “sacerdoti del nulla” (gli influencer per Pietro Trabucchi), testimonial di prodotti fini a se stessi.

C’è un proverbio latino “age quod agis” che significa fai quello che fai, mettici tutto te stesso, mettici il cuore, la testa, le mani e i sentimenti…mettici tutto quello che hai. Nello sport come nella vita.

Perché se lo sport deve essere una palestra di vita allora è lì che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, trovare il coraggio di affrontare le competizioni ma soprattutto ciò che la vita ci riserva, imparare ad essere solidali con gli altri, ad aiutarsi nei momenti di difficoltà, ad incoraggiarsi reciprocamente e a rispettare norme e regolamenti.

Anche la sconfitta può diventare occasione di crescita; il riconoscere i propri errori e i propri limiti deve fare di noi delle persone decise a migliorarsi. Saper resistere alle negatività della vita non è una condizione in cui si nasce, quindi soggettiva, ma piuttosto un processo che ognuno di noi può costruire.

Uno degli strumenti per farlo è proprio lo sport: per poter raggiungere gli obiettivi prefissati, bisogna lavorare con fatica e onestà. Parole sempre più in disuso e che non “vendono”.

Purtroppo non sempre nello sport, come nella vita, per raggiungere gli obiettivi tutti usano mezzi morali leciti. E’ facile incontrare chi, pur di dimostrarsi migliore degli altri, prende scorciatoie, cerca di squalificare il lavoro degli altri, o peggio ancora si comporta in maniera scorretta.

Il voler primeggiare a tutti i costi, anche se incapaci di farlo con le proprie potenzialità, rivela una profonda carenza di autostima e un’insicurezza di fondo.

Si attribuisce al risultato sportivo, spesso immeritato, l’affermazione del proprio valore come persona rivelando, ancora una volta, quanto sia importante apparire piuttosto che essere.

Così facendo si perde una grande occasione, quella di diventare persone migliori, in grado di migliorare un mondo che ha bisogno di ritrovare valori come onestà, etica, giustizia e amore.

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