Pillole di coaching

Il talento questo sconosciuto

Ormai gennaio è giunto al termine e sono convinta che assieme ai fogli del calendario, siano stati strappati, anche la gran parte dei buoni propositi. Quelli che abbiamo formulato sotto l’albero di Natale e che assieme all’albero sono stati riposti in un armadio in attesa di tempi migliori.

Qualcuno a caso:

La dieta ferrea che non ha portato i risultati sperati perché, dopo un paio di giorni di astinenza totale da tutto, ci siamo riversati sui dolci avanzati, l’attività fisica che doveva diventare la nostra routine quotidiana e che è stata sostituita da un comodo divano, o il corso di lingue straniere che ci aveva promesso che in un paio di settimane saremmo diventati anglofoni, ma che a malapena riusciamo a pronunciare un saluto.

Alzi la mano chi nella propria vita non ha mai utilizzato la frase: Ah, ma l’anno prossimo cambio vita, da lunedì comincio la dieta, da domani esco a correre tutti i giorni ecc ponendosi obiettivi irraggiungibili nel breve tempo, incompatibili con la nostra vita quotidiana ma soprattutto con una motivazione scarsa o che comincia a vacillare davanti al primo ostacolo che troviamo sul nostro cammino.

Inizialmente scoraggiati per il nostro fallimento, cerchiamo poi una giustificazione come la mancanza di tempo, la costituzione fisica robusta che non ci permette di perdere peso, la nostra genetica che non ci facilita nella pratica sportiva, oppure che siamo privi di talento per acquisire nuove competenze.

Dopotutto quante volte ci siamo sentiti dire, nella scuola come nello sport: il bambino non è portato, non ha talento.

O era eclatante o ne eri privo.

Da bambina me lo sono sentita dire una prima volta al campo sportivo, quando sovrappeso (per costituzione e forse anche un po’ per le ossa larghe), l’allenatore di atletica si era dimostrato contrario al mio inserimento nella squadra del paese, perché, a suo dire, non portata per lo sport e men che meno per l’atletica. Io volevo correre ma per farmi desistere mi fecero allenare al salto in lungo e al salto in alto, dove è ovviamente richiesto uno stacco di coscia che una ragazzina di un metro e trenta forse, difficilmente ha.

Così ho cominciato a credere che loro avessero ragione: non era portata per lo sport perchè non avevo talento.

Cominciai così a fantasticare su quale potesse essere il mio, quale fosse il superpotere che da qui a breve si sarebbe rivelato e che mi avrebbe aiutata a raggiungere i miei obiettivi senza alcuna fatica e possibilmente con pochi sforzi. Ma ahimè, non lo trovai, così lasciai perdere e mi convinsi che ne ero priva.

Ma cos’è il talento?

E’ un’attitudine innata ad un’attività che può essere agevolata dalla genetica o dall’ambiente in cui si vive.

Alle superiori, dopo che alle scuole medie ero stata indirizzata ad un istituto tecnico perché a parer della commissione, non ero portata alla scrittura e alla letteratura che invece mi appassionavano molto, lessi una frase di Nietzche, che mi colpì molto: “la nostra vanità, il nostro amor proprio alimenta il culto del genio. Perché se pensiamo al culto del genio come a qualcosa di magico, non siamo costretti a confrontarci e ammettere la nostra insufficienza”.

“La mitologia del talento ci lascia liberi, ci permette di proseguire tranquilli nel nostro status quo”, o come preferiamo chiamarla adesso comfort zone.

E non sto affermando che il talento non esista, sia chiaro, ma che rappresenta solo la punta dell’iceberg. Sotto il livello dell’acqua, nascosto agli occhi dei più c’è un enorme masso costituito da impegno, forza di volontà, determinazione e perseveranza. Qualità che richiedono applicazione, sforzi, grinta, termini che fanno poca notizia e che non si leggono mai sui giornali quando viene elogiata la prestazione di qualche fuori classe.

Il talento ce l’abbiamo tutti ma va scoperto e coltivato, perché da solo non basta. Chi nella vita è riuscito a realizzare grandi cose, per anni ha costruito quella base, mantenendo e dirigendo tutte le sue energie verso quell’obiettivo, perseverando e non mollando alla prima difficoltà, e soprattutto credendo in ciò che stava facendo.

Sfatiamo quindi l’idea del genio o del talento, se vuoi qualcosa, ti devi rimboccare le maniche.

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