Pensieri di Viaggio
Race Across Limits Sicily: da Torre Faro a Sant’Agata di Militello
Mi sono svegliata prestissimo a Capo Faro, in provincia di Messina, l’estrema punta della Sicilia. Un borgo di pescatori, dove l’aria salmastra è talmente forte da permeare qualsiasi cosa. Ci siamo arrivati, ieri, a metà pomeriggio. Sbarcati a Tremestieri abbiamo fatto un tratto di autostrada fino a Messina, da dove la litoranea ci ha condotto in questo piccolo paese, che non conoscevo, e che ho trovato molto caratteristico. Dopo aver scaricato tutto in albergo, io sono uscita a sgranchirmi le gambe.
Dopo il giro in bici, la cosa che mi entusiasma di più è andare alla scoperta di luoghi sconosciuti. Mi piace entrare nei borghi, cogliere l’essenza del paese, sbirciare all’interno dei negozi per capire come si vive. E così ieri, anche se il vento era molto forte, non ho perso tempo e mi sono incamminata verso il mare. Arrivata sulla scogliera la forza dello scirocco, era talmente impetuosa da non permetterti di sporgerti troppo dalla balconata.
Il cielo e il mare erano entrambi del colore grigio ceruleo e, se avessi escluso l’udito, guardando le barche al riparo dalle onde, avrei potuto tranquillamente immaginare di essere in qualche paese del Nord Europa. Immagine che scompariva nel momento stesso in cui ci si voltava verso il paese. Qui le case bianche, l’architettura tipica del meridione, e soprattutto il profumo intenso di pane rivendicavano, con forza, la territorialità sicula.
Prima di rientrare in albergo sperai che il vento cessasse e che ci lasciasse tranquilli, quanto meno, il primo giorno del tour.
Con enorme piacere, al risveglio, mi resi conto che il vento era meno fastidioso di ieri e anche la temperatura sembrava essere perfetta, fresca al punto giusto. Il sole leggermente velato dalle nuvole, insomma, l’ideale per dare inizio a questa nuova avventura. Dopo aver richiuso, e caricato in auto i bagagli, svegliai Davide e con lui scesi a far colazione.
Avevo fretta di mettermi in bici. Qui non avrei potuto, come nei viaggi precedenti, partire all’alba e questa cosa m’infastidiva un pò, ma il sole si levava tardi e la compagnia di viaggio pure. Decisi quindi di scuotere un pò la truppa per velocizzarli e cominciare, finalmente il giro. Alle 9 finalmente, si riuscì a partire.
Il percorso si presentava come un saliscendi continuo, il classico mangia e bevi che si trova sul nostro lago e che impegna muscolarmente. La tappa, sulla carta, sarebbe dovuta essere di 140km, numeri che considero poco, visto che durante i viaggi in bici, spesso e volentieri, c’è qualche inconveniente, tipo strade chiuse, lavori in corso, sensi contrari e altro ancora, che fanno lievitare, automaticamente, i chilometri da percorrere.
La gran parte del tracciato si sviluppava sulla costa, accompagnati, alla nostra destra, dal mare che non solo ci forniva l’orientamento, ma ci deliziava anche con i suoi colori e profumi. Inoltre, c’erano numerosi ciclisti che pedalavano, a dire il vero in senso contrario al nostro, ma erano sulla nostra stessa strada e a differenza di quelli che incroci qui al nord, si prodigavano in mille saluti. (Per cui come immaginavo la performance non viene compromessa, se educatamente, saluti. Non perdi ne il ritmo e men che meno i watt).
Il paesaggio mozzafiato, il profumo intenso scaturito dalla vegetazione era idilliaco. Pedalare qui si stava trasformando in un’esperienza multisensoriale che stavo vivendo con grande entusiasmo mentre Davide V. il mio compagno di viaggio, pedalava, incurante di ciò che lo circondava, come se fosse in un percorso di casa. Il suo interesse era catturato dalla media, dal contachilometri, e dalla strada. Ogni tanto borbottava qualcosa che non udivo, perchè ero incantata da ciò che stavo ammirando.
Sul nostro percorso e nella nostra direzione, trovammo un ragazzo del luogo che, una volta scoperto che eravamo turisti, ci accompagnò facendoci da cicerone. Ci disse, tra le altre cose, che quella di oggi sarebbe stata una delle tappe più belle del viaggio, e io non faticai a crederci.
Passammo da Milazzo e mi fermai per scattare qualche foto. Davide, in auto, non ci perdeva di vista un attimo. Entusiasta dal paesaggio circostante, dalla temperatura che nel frattempo si era alzata, quando possibile, dall’auto, si fermava ad ammirare quel mare così turchese da sembrare un dipinto, frastagliato da onde talmente formate da sembrare bagno schiuma.
Mi sentivo in pace con me stessa, con mio marito al mio fianco, in un luogo paradisiaco, dove pedalare oltre ad essere bello, sembrava essere anche molto sicuro. Ebbi, infatti, l’impressione che in Sicilia c’era molto più rispetto per chi era in giro a pedalare. Mi chiesi se ciò fosse dovuto al fatto che era domenica, per cui la gente era un pò più tranquilla, ma rimasi felicemente stupita del fatto che non solo non ti spaccano il timpano strombazzandoti, come invece accade qui, ma nel sorpassarti, si tengono molto alla larga.
Il cielo, nel frattempo, era diventato limpido. La temperatura si era alzata ma rimaneva gradevole, grazie anche alla brezza presente sul mare, ma in tutta onestà, in quel luogo non mi avrebbe dato fastidio nulla, così pensavo.
All’arrivo a Sant’Agata di Militello, ci fu la prima interruzione stradale. La via che avremmo dovuto inforcare era chiusa per lavori e per cui ci obbligava a cercare un’alternativa per poter raggiungere l’agriturismo situato ad Acquedolci. Non c’erano indicazioni che suggerissero il percorso per cui decisi di chiamare Davide e dirgli di anticiparci sull’arrivo, in maniera tale da poterci inviare una posizione da seguire.
Nel frattempo cominciai ad avere fame. Iniziare a pedalare tardi voleva dire posticipare il pranzo e dopo le 13 il mio stomaco ovunque si ritrovi, comincia a reclamare e con esso, la mia tolleranza diminuisce inesorabilmente. Così quando avvistai le salite brevi ma impegnative che ci avrebbe riportato sul provinciale, il toro presente in me, cominciò a ribollire. Veri e propri muri, fastidiosi e spezza gambe, dove al termine di uno di questi, trovammo una pattuglia. Davide V. si fermò per chiedere informazioni ai carabinieri, i quali, risposero che l’agriturismo distava ancora venti km. La risposta provocò la mia ilarità. Dalla mia traccia mancavano si e no quattro chilometri, e sentendo venti, ritornai con la memoria, al viaggio dell’anno scorso, dove disperati, a pedalare sotto l’acqua, quando chiedevamo la distanza che mancava all’albergo, tutti, automuniti, indifferentemente ci rispondevano venti chilometri, gettandoci nella disperazione più nera.
Questa volta l’effetto fu diverso. Scoppiare a ridere mi fece dimenticare i morsi della fame e la stanchezza che stava sopraggiungendo. Così dissi a Davide V. che era meglio non chiedere, a chi non è in bicicletta, quanti chilometri mancano all’arrivo. La misura è sempre molto variabile.
Nel frattempo mi era arrivata la posizione e con il cellulare in mano, salutammo i carabinieri per riprendere la nostra strada.
Dopo quattro km arrivammo alla Valle degli Ulivi. Una bellissima struttura, nuova, in collina, con un’invitante piscina pronta ad accoglierci.
Avevamo concluso la prima tappa. Io ero entusiasta, felice di essere riuscita ad organizzare il viaggio in Sicilia, dove la gente accogliente e i paesaggi mozzafiato riescono a stemperare qualsiasi fatica.
Sarà un viaggio fantastico, ne sono certa.