Pillole di coaching
L’anniversario di una nuova vita
Questa è una settimana molto importante per me, per la mia vita.
Ventisei anni fa, nei giorni che precedevano il 25 luglio, ero emozionatissima all’idea che, arrivato il lunedì successivo, mi sarei sposata.
Quanto avevo sognato: quell’abito bianco, pronunciare quel sì davanti agli amici e ai parenti e soprattutto andare a vivere con il mio attuale marito.
Era il 1994, ci frequentavamo da quattro anni e io ne ero perdutamente innamorata. Dopo anni trascorsi a sentirmi dire che non mi sarei mai sposata, visto il carattere poco accomodante, mi avevano presentato lui: altissimo, biondo, magrissimo e con un’espressione da sciupafemmine. Avevo 25 anni e al principe azzurro ci credevo ancora e lui, seppur in sella ad un Cagiva più che ad un cavallo bianco, me lo ricordava tanto.
Per conquistarlo avevo faticato! La sua, per così dire, popolarità lo avevo reso una preda molto ambita e ho dovuto sgomitare fra le numerose contendenti. Ma alla fine ho vinto io.
Così quel lunedì mattina di una calda estate, ho pronunciato sì: ad una vita nuova, a una casa tutta nostra, in un paese sconosciuto ma soprattutto ho detto sì al coronamento di un obiettivo accarezzato da tempo.

Per tredici anni abbiamo vissuto una vita intensa d’impegni quasi frenetica. L’attività professionale era un ulteriore collante alla nostra intesa. Entrambi nel settore arredamento, dopo anni a lavorare per gli altri, abbiamo aperto il nostro show-room, che è diventata immediatamente la nostra seconda casa e il luogo dove poter svolgere, con enorme soddisfazione, l’attività che ci eravamo scelti e che ci permetteva di condurre una vita, per così dire, agiata.
Volendo vedere c’era solo una nota stridente: la mancanza di figli.
Non ne abbiamo avuti. Neanche dopo essermi sottoposta a due tentativi di fecondazione assistita. Per tante coppie, l’incapacità di procreare, sarebbe potuta diventare un problema, ma per noi, no. Superata la delusione ci siamo gettati a capofitto nella nostra attività e nella vita sociale.
Lui era e si riteneva un uomo soddisfatto. Eravamo una coppia affiatata, avevamo raggiunto una buona sicurezza economica e professionale, facevamo viaggi in località da sogno e frequentavamo amici che condividevano le nostre stesse passioni.
Lo ero anch’io, certo, ma a differenza di lui avevo un tarlo, un piccolo tarlo che continuava a rodermi dentro. Di cui non conoscevo l’origine ma che mi faceva sentire immeritevole di tutta quella felicità e soddisfazione. Eppure nulla mi era stato regalato. Ogni cosa era frutto di impegno e lavoro: la laurea, l’esame di stato come architetto, il lavoro che non era mai mancato, il matrimonio col compagno di vita ideale. Avevo stabilito tutti quegli obiettivi e uno ad uno gli avevo raggiunti, quindi cosa c’era che non andava?
Non ebbi il tempo di dare una risposta alla domanda che mi balenava, perchè nel 2007, a neanche un mese dal nostro tredicesimo anniversario di matrimonio, al lago, dove ci eravamo dichiarati, accadde l’irreparabile e con un tuffo Davide mise fine a quella vita, invidiata da tutti, di una coppia felice, innamorata e impegnata professionalmente.
Crollò tutto in un solo istante, l’istante che ci volle a lui per rimanere paralizzato dalla testa in giù.

Il 15 agosto 2007, annientata dal dolore per aver perso il mio compagno di vita, ricominciai tutto da capo, facendo conto solo sulle mie forze.
Mi sentivo come se avessi subito un lutto. Chi occupava quel letto in ospedale, immobile, intubato, non era e non sarebbe stata mai più la persona dinamica, sportiva, entusiasta con la quale avevo deciso di costruire il mio futuro.
Ho provato a credere, e a sperare, che tutto fosse attribuibile allo shock o ad un errore di valutazione, ma i giorni e i mesi confermarono che la diagnosi era corretta: lui non sarebbe più stato colui che avevo scelto di sposare a causa di una tetraplegia traumatica.
Il mio stato d’animo andava dalla rabbia feroce, dove ribollivo di energie, alla ricerca di qualcuno da incolpare, alla tristezza infinita per una vita spezzata ma soprattutto perchè il mio sogno di una famiglia felice era crollato come un castello di carta.
Avevamo perso la sicurezza, la serenità e in quel momento anche la felicità. Entrambi siamo stati chiamati a decidere se partecipare alla battaglia, per riprenderci la vita, o deporre le armi e arrenderci lasciando agli altri il compito di accudirci. Lui perchè disabile e io perchè depressa.
Fu in quel momento che pronunciai un altro sì. Quello di un altro cambiamento di vita, questa volta più incerto, irto di difficoltà, che richiedeva un netto taglio col passato, con le sue certezze e i nostri riferimenti. Ma nella mia mente riecheggiava quel “in salute o malattia”e io ci credevo veramente, e ci credo tuttora.
Sono stati anni di grandi rinunce, di stravolgimento, di perdita, di sconfitte ma anche anni in cui ho avuto la possibilità di scoprire cosa ero in grado di fare, di quanta forza ero capace, il coraggio di ricominciare e di andare avanti nonostante le difficoltà. Ho ritrovato l’entusiasmo che non avevo da anni, la voglia di combattere per conquistare nuovamente lui e assieme, la nostra vita. E’ stata dura. Ma ce l’ho fatta, ce l’abbiamo fatta e possiamo esserne fieri.
E a proposito, nessun tarlo mi perseguita più.
Così il 25 luglio 2020 festeggerò ventisei anni dal primo matrimonio, quello sognato, e tredici dal secondo, quello deciso e costruito.
“E’ nel momento delle decisioni che si plasma il tuo destino”.
Anthony Robbins