Pillole di coaching

L’importanza di una sana e robusta autostima

Quanto conta l’autostima per affrontare al meglio la vita?

 Tanto, ve lo posso assicurare.

E lo posso fare con grande certezza perché da ragazzina ne ero assolutamente priva e così mi lasciavo affascinare da persone che ne avevano tanta, o così credevo. Erano ragazzi che si atteggiavano a bulli o che trasformavano qualsiasi cosa in una gara, in una competizione, per mostrare di essere i migliori. Perché più forti, più belli, più capaci, più facoltosi e che si attorniavano di persone che pendevano dalle loro labbra e ne celebravano le gesta. Si nutrivano di complimenti e lusinghe.

Di fronte a loro mi sentivo del tutto inadeguata, fuori luogo, con troppi difetti o debolezze. E ne ero talmente convinta da non riconoscere le qualità che invece avevo, le capacità, le attitudini. Vedevo solo la statura mignon, la mancanza di grazia, l’incapacità di apprendere la matematica e la logica.

Ero consapevole di non amarmi abbastanza e di avere poca fiducia in me stessa, a differenza degli agonisti della vita (i soggetti indicati sopra) che invece apparivano sicuri del loro valore, talmente convinti da apparire arroganti.

E invece no!

Entrambe le manifestazione dimostrano una carenza di autostima. Chi è alla ricerca di continue conferme, chi vive ogni cosa nella competitività, il voler dimostrare di essere superiori, rivelano una mancanza di sicurezza, una scarsa fiducia nelle proprie capacità.

Tanto io quanto loro eravamo in balia dei giudizi altrui che potevano migliorare o peggiorare le nostre giornate. Farci sentire sicuri e coraggiosi oppure insicuri e assaliti da mille paure.

Ma poi sono cresciuta, (anche se la statura è rimasta sempre quella), anagraficamente e caratterialmente. Ho superato parecchie prove tra cui una laurea nonostante le perplessità dei miei insegnanti, un esame di stato passato brillantemente, una serie di master, diverse esperienze professionali gratificanti ma anche un incidente grave a mio marito, la sua disabilità e la mia depressione, l’avvicinamento al triathlon e l’Ironman. Ostacoli, difficoltà, impegni, gratificazioni il cui superamento gli ha trasformati in tanti tasselli che sono andati a costituire, come in un puzzle, la mia autostima.

Ma a cosa corrisponde esattamente questa autostima?

L’autostima è il giudizio di valore che attribuiamo a noi stessi.

Può essere identificata come la distanza che intercorre fra il nostro SE REALE dal nostro SE IDEALE.  Dove il nostro se reale corrisponde ad una valutazione oggettiva di noi stessi, pregi, difetti, abilità, capacità, debolezze; mentre il se ideale è ciò che vorremmo essere. Più le due visioni sono lontane e minore sarà la nostra autostima.

Per cui per incrementare la nostra autostima dobbiamo semplicemente eliminare le nostre ambizioni, i nostri obiettivi, il nostro SE ideale? Assolutamente no.

Il nostro SE ideale è fondamentale perché rappresenta il faro della nostra crescita personale. Ci occorre per orientarci su quali percorsi intraprendere per migliorare, per acquisire nuove competenze, per colmare le nostre debolezze. Senza di esso mancherebbe lo stimolo al miglioramento. Ma per far sì che non diventi motivo di frustrazione, le nostre ambizioni devono essere realistiche, raggiungibili e costituite da tanti piccoli obiettivi che una volta raggiunti andranno ad incrementare la fiducia in noi stessi.

Ma perché è fondamentale acquisire una buona autostima?

Perché possederla ci permette di riconoscere i nostri punti di forza e di saperli valorizzare, di essere in grado di capire quando le critiche nei nostri confronti sono costruttive o frutto dell’invidia, ci motiva  ad affrontare le sfide che la vita ci riserva e ci da la possibilità di relativizzare gli insuccessi che si trasformano in occasioni per imparare.

Il periodo di lockdown ha sicuramente influito sulla nostra autostima che è stata scalfita dall’interruzione totale della nostra quotidianità. Lo smartworking ha comportato la perdita della componente sociale del nostro lavoro, il rapporto con i colleghi che è diventato virtuale, la cura di noi stessi che essendo chiusi in casa ha subito un involuzione, quella sensazione di inutilità all’interno delle nostre mura domestiche, nelle quali rimaniamo poco abitualmente. Così c’è chi si è messo a cucinare, ad impastare, per sentirci ancora capace di realizzare qualcosa, peccato che per la gran parte si sia trasformata in un’assunzione di peso con conseguente ricaduta della nostra autostima.

Perchè il nostro livello di autostima non è permanente, soprattutto se dipende più dagli altri che da noi. Ed è proprio qui che dobbiamo lavorare.

 

Come disse Goethe “prima di poter avere qualcosa, devi innanzitutto essere qualcosa“.

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