Pillole di coaching

Quella sensazione di non essere mai abbastanza

Non so voi, ma a me, spesso e volentieri capita di provare la sensazione di non essere mai abbastanza, di non essere abbastanza capace, bella, simpatica, intelligente in confronto agli altri. E può capitarmi sul lavoro, con gli amici, nella vita privata, durante le competizioni sportive. E’ come se, confrontandomi con gli altri, mi mancasse sempre qualche cosa. Eppure di obiettivi nella vita ne ho raggiunti, e anche diversi, ma a quanto pare non sufficienti a colmare quel senso d’inadeguatezza che è lì, in attesa di riemergere nel momento più opportuno.

Uno degli elementi che sicuramente influisce è la realtà nella quale siamo immersi, quotidianamente, quella caratterizzata dal mito dei VIP, del talento, del “non sei nessuno se non ottieni tanti like”. Nasce così la necessità di mostrarsi agli altri per dimostrare a noi stessi il nostro valore, peccato che così facendo andiamo a confrontarci con ideali irraggiungibili proposti dai media, dai social, e impersonati dagli influencer che assumono il ruolo di guida, di guru (per utilizzare un termine in voga) esibendoci come comportarci, ma soprattutto come dobbiamo diventare per ottenere l’apprezzamento e l’ammirazione degli altri.

Ed è quindi abbastanza normale sentirsi inadeguati di fronte a ideali spesso inarrivabili. Secondo questi standard dovremmo essere tutti belli, magri, sicuri di noi stessi, apprezzati e ammirati dagli altri. Dovremmo viaggiare in luoghi da sogno, possedere oggetti invidiabili, saper cucinare come Cracco mentre siamo truccati, pettinati e vestiti come se stessimo partecipando ad uno shooting fotografico, e ovviamente tutto questo deve essere mostrato su qualche diretta social.

Nei casi più estremi c’è anche chi arriva a provare vergogna perché conduce un’esistenza normale, ordinaria, che appare noiosa se confrontata a queste visioni perfette e inavvicinabili.

Volenti o nolenti, siamo immersi in questa realtà e non possiamo pensare di tutelare la nostra autostima evitando i messaggi dei media, perché è come pensare che se tratteniamo il respiro evitiamo l’inquinamento, impossibile.

La situazione peggiora poi se, mostrandoci agli altri, mettendoci anche noi in vetrina, nella nostra imperfezione, veniamo giudicati o criticati. E’ recente un post su IG di Lindsey Vonn dove ha postato una foto in costume in cui si notava qualche segno di cellulite. Qualcuno ha apprezzato il gesto, ma la gran parte l’ha insultata per il suo aspetto fisico, per la sua normalità, eppure è una campionessa di sci, che si è mostrata senza l’utilizzo di alcun filtro o ritocco fotografico.

Noi tutti, chi più chi meno, temiamo il giudizio e le critiche e in un mondo in cui c’è chi ha fatto della critica gratuita il proprio passatempo, capite bene che la sofferenza è dietro l’angolo, ma la cosa ancor più triste è che invece di valutare da chi siamo stati giudicati o perché, cadiamo immediatamente nella disperazione e la nostra frustrazione va a rafforzare la convinzione che non siamo all’altezza.

Ma cos’è che ci spinge a ricercare l’ammirazione e l’approvazione da parte degli altri?

Il desiderio di appartenenza e stima rientra fra i bisogni primari dell’uomo, quelli che già Aristotele aveva evidenziato quando enunciava che l’uomo è un animale sociale e come tale, tende ad aggregarsi. Della stessa teoria fu Abraham Maslow che nella sua piramide dei bisogni, afferma che l’uomo dopo aver soddisfatto i bisogni primari fisiologici, e di sicurezza, vuole essere amato, stimato ed accettato da chi lo circonda.

Per cui è umano e comprensibile ricercare qualcosa che ci permetta di ricevere amore e soddisfare il bisogno di appartenenza, e ci convinciamo che se iniziamo a compiacere gli altri, facendo esattamente ciò che si aspettano da noi, diventando addirittura servizievoli pur di non deluderli, riusciremo ad essere amati. Peccato che così facendo andiamo ad annullare completamente noi stessi. Cerchiamo di farci amare dagli altri ma non lo stiamo facendo con noi stessi.

E se non è sufficiente ad allontanare il timore del giudizio, puntiamo diritto verso la trappola del perfezionismo. Che non è il salutare desiderio di miglioramento ma è la convinzione che se viviamo in un mondo perfetto, abbiamo un aspetto perfetto, e ci comportiamo perfettamente possiamo evitare il dolore di essere giudicati, criticati e soprattutto allontanati.

L’essenza del perfezionismo è il tentativo di guadagnarsi approvazione e accettazione.

La domanda che perseguita il perfezionista è cosa penseranno gli altri?

E’ un atteggiamento completamente autodistruttivo, non solo perché la perfezione non esiste, è una percezione che hanno gli altri su noi e quindi impossibile da controllare, ma anche perché le aspettative irraggiungibili sono causa di ansia e depressione.

Inoltre così facendo ci troviamo costretti in una sorta di paralisi esistenziale, perché ci priviamo di qualsiasi esperienza per il timore di essere giudicati imperfetti. Smettiamo d’inseguire i nostri sogni per la paura di sbagliare, di commettere errori, di fallire e deludere gli altri perché fallire vuol dire perdere la nostra autostima.

Oppure per evitare di accusare la sensazione di non essere abbastanza, ci riempiamo d’impegni. La nostra giornata non deve avere un momento libero perché se così fosse la nostra insicurezza farebbe capolino, invece vivere col fiato sospeso ci permette di soffocare qualsiasi timore e inoltre, ci convince che se sbagliamo non è perché abbiamo fallito, ma perché siamo talmente indaffarati che l’errore può essere giustificato.

In tutto questo vortice la cosa più importante è che perdiamo la connessione con noi stessi. Viviamo una vita che non è la nostra e non riusciamo ad apprezzare ciò che già abbiamo, che ci scorre via, e solo nel momento in cui lo perdiamo del tutto, ci rendiamo conto di quanto eravamo in realtà già ricchi.

Come mi sto comportando io?

Imparando a lasciarmi alle spalle ciò che pensano gli altri per concentrarmi su ciò che è meglio per me.

Non è semplice ma anche “un viaggio di mille miglia inizia con un singolo passo” (Lao Tzu) e il mio primo passo è stato quello d’imparare ad amarmi di più. Quello di coltivare il mio amor proprio, essere più compassionevole nei miei confronti, fidarmi di me stessa e delle mie capacità. Ho imparato a trattarmi con più rispetto e a riconoscere il mio valore come persona, indipendentemente da ciò che faccio o posseggo. Ho imparato a dire di no quando la richiesta va contro i miei valori, o a discapito di me stessa.

Ma soprattutto ho imparato che la mia autostima deve essere costruita giorno per giorno.

Tempo fa ho letto che Nietzsche affermò che al mondo esistono due tipi di persone: le prime sono quelle che nascono già sicure di sé, come se avessero ricevuto l’autostima dalla nascita, e sono gli stolti, secondo lui; le seconde sono quelle che tutti i giorni devono convincere lo scettico che c’è in loro, del proprio valore.

E l’autostima possiamo farla crescere

  • Affrontando le sfide che la vita ci propone
  • Alzando progressivamente l’asticella
  • Accettando che non si può piacere a tutti
  • Instaurando relazioni alla pari
  • Impiegando il nostro tempo migliorando noi stessi: studiando, leggendo, praticando sport, ritornando ad essere curiosi del mondo, prendendoci infine cura di noi stessi.
  • Imparando ad accettare i fallimenti che fanno parte del percorso di crescita e apprendimento,

Riappropriarci della nostra vita è un percorso lungo, pieno d’insidie, ma che ci alleggerisce di un grosso carico, quello dovuto alle corazze e alle maschere che abbiamo indossato per compiacere gli altri.

Solo quando impareremo a coltivare la nostra autenticità, a non curarci di ciò che pensano gli altri, a rinunciare al perfezionismo, a coltivare la gratitudine, a rinnegare lo stress e la produttività come strumento di misura del nostro valore personale, imparando così a lasciarsi andare e a perdonare i nostri errori, potremo vivere con tutto il cuore una vita degna di essere chiamata tale.

 

“Essere nessun’altro all’infuori di se stesso in un mondo che fa del suo meglio, giorno e notte, per renderti tutto fuorchè te stesso significa combattere la battaglia più dura che un essere umano possa intraprendere, e non smettere mai di lottare”

Cit.  E.E. Cumming

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