Pillole di coaching
Dove vai se la motivazione non ce l’hai?
Anche tu pensi che la motivazione sia la panacea di tutti i mali?
Fra le tante parole di cui si abusa nel linguaggio comune, nelle pubblicità, nei titoli dei libri è motivazione. Sembra che solo il fatto di pronunciarla sia equivalente a utilizzare la bacchetta magica di Harry Potter, in grado di esaudire qualsiasi nostro desiderio.
Ahimè, non è così.
Motivazione, lo dice la parola stessa, è il motivo che ci spinge all’azione, e cioè a mettere in campo comportamenti precisi e specifici per il conseguimento di un determinato scopo. Possiamo quindi affermare, con sicurezza, che in mancanza di un motivo, un obiettivo, un traguardo da aggiungere, la motivazione non può esistere.
Generalmente la motivazione viene distinta in due tipologie: ESTRINSECA che è quella proveniente dall’esterno ed è rappresentata da premi, incentivi, ricompense e INTRINSECA, che è quella che interessa a noi ed è la nostra automotivazione. Proveniente dal nostro interno, viene scaturita dalla necessità di soddisfare un nostro bisogno, una nostra aspirazione, ed è in grado, se gestita in maniera corretta, di portarci ovunque, di resistere agli urti della vita, alle difficoltà e soprattutto di perdurare nel tempo.
Il maggiore errore che si possa fare, quando si parla di motivazione, è pensare che solo il fatto di possederla possa garantirci il raggiungimento di un obiettivo, o che rimanga costante nel tempo.
Non è così. L’ho scoperto ben presto e come me, penso che in quest’ultimo periodo lo abbiano scoperto in tanti. Vedersi rimandare i propri obiettivi, soprattutto sportivi, assistere impotenti allo svanire dei nostri sogni di gloria, ha intaccato anche la più forte delle motivazioni, fino ad arrivare, nel peggiore dei casi, ad una resa totale.
La domanda che mi viene posta più frequentemente è come possiamo agire per incrementarla e per mantenere costante e stabile il suo livello fino al raggiungimento dei nostri obiettivi?
Il ruolo della motivazione è fondamentale ma dobbiamo pensare a lei come al colpo di fulmine, come alla prima fase dell’innamoramento. Quella che ti fa sentire le farfalle nello stomaco, che ti travolge con una cascata di emozioni e che ti convince che sarai in grado di fare qualsiasi cosa per raggiungere quel determinato obiettivo. Ci fa sentire invincibili, pronti e capaci di affrontare qualsiasi sfida per arrivare al nostro scopo, ma come tutti i grandi amori, con il passare del tempo, con le prime difficoltà, se non c’è altro, la passione tende a scemare e ciò che ci sembrava piacevole comincia a trasformarsi in un impegno gravoso e, a volte, anche noioso.
Per mia esperienza, focalizzarsi unicamente, sull’obiettivo specifico, non è mai stata una strategia vincente e soprattutto non mi garantisce un livello costante e attivo di motivazione. Per continuare ad impegnarmi e arrivare al risultato finale, devo far ricorso, necessariamente, ad altro come forza di volontà, autodisciplina, determinazione, perseveranza, lungimiranza e resilienza. Capacità che non sono una prerogativa di personaggi tipo Rocky o Lara Croft, ma che sono facoltà umane e che rientrano nel nostro patrimonio genetico, quello che ci ha ci ha garantito la sopravvivenza fino ad oggi.
La vita agiata, tranquilla, con poche difficoltà, le ha probabilmente lasciate assopirsi, in qualche angolino remoto, in attesa di poter ritornare ad essere le armi vincenti per sostenere il nostro impegno e la nostra motivazione.
E lo posso affermare con cognizione di causa visto che, da architetto sedentario, in pochi anni, (pur senza trasformarmi in una novella Lara Croft), sono diventata un’atleta di endurance, in grado di colmare il proprio gap atletico con una grande motivazione, talmente incisiva da portarmi a tagliare il traguardo di oltre una dozzina di mezzi Ironman, quattro lunghe distanze, svariate maratone e a continuare con l’ultracycling.
Quali strumenti ero riuscita sfoderare, quali strategie mentali avevo adottato in maniera talmente efficace da riuscire a raggiungere traguardi così ambiziosi? Per rispondere a queste domande e per approfondire le tematiche mentali, da cui ero affascinata, mi sono avvicinata al mondo del coaching.
Ho così scoperto che, una delle leve motivazionali più incisiva è stata quella di coinvolgere ed utilizzare le emozioni.
Le emozioni hanno un enorme potere attivante, ci spingono verso qualcosa, fornendoci la possibilità di ottenere risultati strabilianti. Quando da assoluta profana ho assistito all’Ironman di Nizza, sono stata folgorata da un tumulto di emozioni: entusiasmo, felicità, meraviglia, che hanno innescato in me la voglia di intraprendere un lungo e intenso viaggio per riuscire a tagliare quello stesso traguardo.
Le emozioni vissute quel giorno, le ho richiamate alla mente, più e più volte, e soprattutto nei momenti in cui la mia motivazione vacillava. Vuoi perché la data era lontana, perché vittima di qualche infortunio, oppure perché nei mesi invernali risultava più difficile allenarsi.
Quando mi accorgevo che il mio viaggio si stava trasformando in un’ulteriore fonte di stress, in qualcosa di gravoso, richiamavo alla memoria ciò che avevo provato e così facendo ritornavo ad entusiasmarmi.
Un’altra passaggio chiave, strettamente correlato all’utilizzo delle emozioni, è stato l’utilizzo delle tecniche di visualizzazione.
Quel giorno, infatti, non ho solo assistito come spettatrice ad una gara, ma mi sono proiettata in quell’immagine. Mi sono vista tagliare quel traguardo e ho scattato, mentalmente, una fotografia, ricca di particolari, colori, sensazioni, che ho sempre tenuto a portata di mano. Una foto che mi ritraeva vincente, felice e soddisfatta per aver raggiunto l’obiettivo prefissato. Ciò è stato determinante perché, come poi ho scoperto, la mente non è in grado di distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginario.
Vedermi su quel tappeto rosso, sulla finish line, ha favorito la fiducia in me stessa e nelle mie capacità, spingendomi a dare il massimo, sia a livello di impegno che di mezzi per riuscire a coronare il mio sogno.
Entrambe le strategie sono entrate di diritto nel mio bagaglio esperienziale, nello sport ma soprattutto nella vita di tutti i giorni, e ogni qual volta il mio entusiasmo tende a calare la mia memoria torna a quel 24 giugno 2012, a Nizza, a quelle emozioni talmente travolgenti dal convincermi che avrei potuto utilizzare lo sport come strumento di rinascita, di crescita interiore ma soprattutto per riemergere da un brutto periodo di depressione.