Pillole di coaching

E tu lo sai perchè lo fai?

Sin da quando ero ragazzina, il mio desiderio è sempre stato quello di fare ciò che mi facesse sentire realizzata o come si usava dire una volta, a posto con la coscienza.

Non mi piaceva omologarmi agli altri per farmi accettare dal gruppo e per percorrere strade più semplici. Non m’interessava.

Io cercavo qualcosa di più.

Alla scelta delle scuole superiori, ricordo che, la gran parte della mia classe aveva optato per Ragioneria o Geometra, le scuole più vicine, più comode, e che avrebbero garantito (allora) un posto di lavoro, sicuro e ben retribuito. Sarebbe stato semplice seguire l’onda, iscrivermi alla stessa scuola, mantenere le relazioni con gli stessi compagni e chissà, magari andare anche a lavorare assieme.

Ma il pensiero di scegliere una scuola solo per la comodità, mi faceva venire l’orticaria. Mai e poi mai avrei voluto sprecare i miei anni, a studiare qualcosa che, sapevo già non sarebbe stato utile per ciò che avrei voluto fare da grande. Contro il parere di tutti, scelsi l’Istituto D’Arte. Una scuola distante da raggiungere, poco rinomata e dove sarei stata da sola.

Io volevo diventare architetto d’interni. Volevo realizzare i sogni dei clienti occupandomi delle loro abitazioni. Desideravo aiutarli a raggiungere il loro obiettivo: una casa a loro misura che gli facesse sentire bene. Un luogo dove poter scrivere un nuovo futuro.

E m’impegnai tanto per farlo.

Cominciai subito a lavorare perché volevo apprendere tutto ciò che la scuola non era in grado d’insegnarmi e dopo la maturità scelsi la facoltà di Architettura. Nel frattempo la mia esperienza con gli studi di progettazione si arricchiva continuamente, ma non era ancora ciò che avrei voluto fare io. Mi mancava l’aspetto più importante, il contatto col cliente. Io volevo ascoltare le loro esigenze, i loro bisogni e tramutarli nel progetto della casa dei loro sogni.

Così decisi di cominciare a lavorare per i negozi di arredamento. Lì ebbi l’occasione di scoprire che ero realmente portata per quel lavoro, che vedevo più come una vocazione più che un impiego. Il mio lavoro ideale quello che racchiudeva i miei valori, che rispecchiava le mie credenze e che soprattutto mi faceva sentire utile agli altri e quindi realizzata.

Avevo trovato il mio “perché”, quello da cui partire. Quello che potesse darmi la possibilità di fare la differenza, di esaltare la mia personalità, i miei interessi, le capacità, desideri, che mi avrebbe permesso di avere un lavoro e una vita più soddisfacenti.

Mi laureai, superai brillantemente l’esame di stato e coronai il mio sogno: quello di aprire il mio negozio di arredamento.

Avevo i miei clienti da gestire, da rendere felici ed entusiasti e vederli emozionarsi per le loro case mi riempiva di gioia e soddisfazione.

Le cose poi sono cambiate. Come la gran parte di voi sa, a seguito dell’incidente di mio marito anche la nostra attività commerciale ha cessato di esistere e con essa il mio sogno di aiutare gli altri.

Mi sono quindi ritrovata senza poter più perseguire il mio “perché”. Costretta in una situazione che non avevo scelto e spinta ad assumere un incarico da consulente molto lontano da quello che sentivo essere il mio scopo nella vita o come lo definì Steve Jobs: ciò che si è destinati a fare.

Nel suo memorabile discorso alla Stanford University, egli sottolineò l’importanza di trovare la propria strada, il proprio scopo nella vita, e lo paragonò all’attività di collegare, a ritroso, i puntini della vita. Affermò inoltre che tanto più tardi li avremmo messi in fila, tanto più precisa sarebbe stata la risposta ma, come afferma lui, tanto più vicina sarebbe stata la fine. Il suo consiglio era quindi quello di dedicarsi a questa pratica fin da giovani e ripeterla a intervalli regolari. Diversamente avremmo corso il rischio di non trovarci mai sulla strada giusta, troppo distratti dalla vita per viverla.

Il nostro scopo nella vita quando è strettamente correlato all’altruismo diventa vocazione. E vocazione non è solo quella religiosa, ma seguire la propria vocazione vuol dire che si sta  facendo qualcosa che va a migliorare, direttamente o indirettamente, la vita di altre persone. Un artista “vocato” lavora per portare nel mondo un po’ di bellezza in più. Un medico  “vocato” è contento del sollievo che riesce a procurare ai pazienti. Uno chef “vocato” si sente tale se può offrire cibo di qualità ai propri clienti. E così via.

Tutti abbiamo uno scopo nella vita, il nostro perché, e prima lo troviamo, prima riusciamo a vivere una vita appagante, indipendentemente dal successo economico.  E la vocazione è qualcosa in più perchè sapere di poter contribuire a qualcosa di più grande, che va oltre noi stessi, in grado di migliorare la vita degli altri, rappresenta una forte leva motivazionale che c’induce a resistere e a continuare anche nei momenti di difficoltà.

Così dopo la chiusura del negozio, ho ricominciato a cercare la strada più corretta per riuscire a concretizzare la mia vocazione. Mi chiedevo continuamente in che maniera sarei potuta essere utile agli altri e la risposta fu: beneficenza e coaching.

Aiutare gli altri a diventare la versione migliore di se stessi; ispirare le persone a riprendere in mano la propria vita, quando tutto sembra oramai destinato a finire; accompagnarli nel loro percorso di crescita personale, aiutandoli a diventare consapevoli dei loro punti di forza per poter affrontare le difficoltà della vita, sono i motivi che mi spingono a fare tutto quello che faccio.

Rappresentano il mio “perché”, quello che mi butta giù dal letto la mattina felice di darmi da fare, il carburante che attiva i miei progetti ma soprattutto è la leva che mi spinge a contribuire in maniera concreta ad una raccolta fondi a favore dei neonati e bimbi disabili. Sapere di poter contribuire a migliorare le loro vite, e quella delle loro famiglie, mi fa superare qualsiasi difficoltà, affrontare qualsiasi problema e mi carica di energia come se fossi un supereroe al servizio dei più deboli.

E voi, lo avete trovato il vostro perché?

 

“Ciò che conta nella vita non è semplicemente il fatto che l’abbiamo vissuta.
È il modo in cui abbiamo fatto la differenza nella vita degli altri a determinare il significato della vita che conduciamo.”

(Nelson Mandela)

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