Pensieri di Viaggio

Race Across Limits Sicily: da Palermo a Marsala

Risveglio a Palermo, sarebbe potuto essere il titolo di un film, se mi fossi destata in qualche casale, immerso in un aranceto, tipo quello dove è stato girato il film Johnny Stecchino, ma così non è stato. Il mio è stato un risveglio un pò più umile, in un albergo Ibis fronte porto, una zona trafficatissima, dove è impensabile dormire con le finestre aperte. Qui, c’è il doppio infisso e una camera d’aria, necessaria ad attutire i rumori provenienti dall’esterno.

Così, forse il caldo o  più presumibilmente la sensazione di asfissia che mi provocano le camere d’albergo, alle 6 ero già sveglia e pronta ad affrontare la nuova giornata. Decisi quindi di alzarmi e uscire dalla camera. Raggiunsi l’ultimo piano, dove c’era la sala colazione e una bellissima terrazza da cui poter ammirare la città al risveglio.

Era ancora buio e si vedevano solo le luci dei cantieri ad interrompere l’oscurità. Così accantonata la poesia optai per una soddisfazione un pò più materiale: la colazione. Ma neanche questa fu possibile. La sala era gremita di gente, operai perlopiù, con la stessa divisa da cantiere, il casco protettivo agganciato alla cintura o sulle sedie, e gli occhi gonfi di sonno.  Di svegli ce n’erano ben pochi ma tutti erano in una fila ordinata in attesa del vassoio della colazione. A causa delle restrizioni COVID uno degli aspetti più belli dell’alloggiare in un albergo, il buffet della prima colazione, risulta precluso. Così, con un bicchiere di caffè lungo in mano, in attesa di un tavolo libero, ritornai in terrazza.

Le luci del giorno si erano impadronite del panorama e della notte appena conclusa non rimaneva più alcuna traccia, se non per qualche lampione rimasto acceso che, da lontano, poteva sembrare lo sfarfallio di qualche lucciola.  Era talmente sereno che si vedeva gran parte di Palermo sul mare.

Una citta affascinante, caotica, ma impegnativa, era questa la sensazione che avevo provato girando come turista. Infatti, ieri dopo aver sbrigato le pratiche del check in, portato in camera i bagagli ed essermi fatta una doccia veloce, siamo usciti a fare un giro Io, Davide, Pier e Antonio, non abbiamo voluto perdere l’occasione di ammirare le sue bellezze architettoniche.

Addentrati nei vicoli popolari, il primo incontro è stato con due ragazzini, giovanissimi, senza casco, alla guida di uno scooter che, incuriositi dal nostro accento, si sono fermati per indicarci come raggiungere il centro. Avranno avuto si e no dodici anni e sgasavano come dei professionisti.  La strada disastrata, con talmente tante buche da sembrare sterrato, era percorsa da auto a tutta velocità noncuranti dei passanti e moto che zigzagavano fra noi e loro. Sopravvissuti alla prima prova, incerti sulla via da percorrere, le indicazioni successive le abbiamo richieste a due strani facchini occupati con un trasloco o presunto tale.

Finalmente raggiungemmo il centro. Le vie centrali precluse alle auto, erano affollate di gente e di turisti stranieri che come noi erano incantati dalle bellezze della città. Edifici impreziositi da cornicioni, statue e decori circondavano le vie cittadine, di un ordine e una pulizia inaspettata, soprattutto rispetto allo sporco e alla trasandatezza della periferia prossima. Ci fermammo ad un bar per un break e per me, l’immancabile granita al pistacchio, per poi decidere di continuare il giro, alla ricerca della cattedrale. Era distante diversi chilometri ma, allungando il passo, riuscimmo comunque ad arrivare prima della chiusura.

Si presentò a noi una piazza enorme, circondata da palazzi di vari stili ed epoche, dal barocco, al neoclassico mentre le guglie della cattedrale erano tipiche degli edifici gotici e ricordavano le chiese dei paesi del Nord Europa, da cui provenivano i Normanni che dai ricordi scolastici, mi sembra abbiano dominato Palermo.

Dopo aver scattato qualche foto, visitato l’interno della chiesa, che non era così bello come appariva esternamente, decidemmo di rientrare in albergo. Ci eravamo allontanati molto e io cominciavo ad essere un po stanca. Le mie gambe mi stavano rammentando che l’indomani avrei dovuto pedalare.

Diedi un ultimo sguardo al porto, alle navi pronte per partire e rientrai in sala. Gli operai se n’erano andati e io mi misi in fila per farmi servire la colazione.

Ieri sera, visto il caos, abbiamo stabilito di partire in auto, allontanarci da Palermo e iniziare a pedalare con un traffico più umano.

Così una volta effettuate le operazioni di routine: chiudere i bagagli, verificare di non aver lasciato in giro nulla, caricare i mezzi, fare il chek-out, condividere la propria posizione su WA, siamo partiti in direzione Monreale.

Eravamo stupiti dalla congestione dovuta al traffico, che a me e Davide fece venire in mente una battuta del film di Benigni dove un fantomatico zio illustrava i problemi di Palermo, di cui la pecca principale era proprio il traffico. Ma eravamo ancor più stupiti dalla destrezza degli autisti che, nonostante le manovre azzardate, schivavano qualsiasi tamponamento, mentre gli scooter e i motorini sembravano tante biglie impazzite che s’insinuavano in qualsiasi varco o presunto tale, pur di evitare le code chilometriche.  Ma la cosa ancora più strana era lo sguardo impassibile delle persone. Mentre io fremevo dal nervoso, per la situazione caotica, loro erano serafici. Non suonavano neanche i clacson.

Dopo un tempo, che mi sembrava interminabile, riuscimmo finalmente a lasciarci alle spalle Palermo e in prossimità di Monreale, ai piedi di una salita, iniziammo la nostra tappa. Non appena inforcai la bici, sentì subito le gambe dure, sia per i km già percorsi che per i dieci a piedi, a spasso per Palermo. Non aver avuto la possibilità di scaldarle prima sicuramente non aiutava, tra l’altro quella odierna, sarebbe stata la tappa più impegnativa, quella con maggiore altimetria.

Davide V. che ieri aveva declinato l’invito a visitare Palermo, preferendo riposare, mi aveva già staccata e ogni tanto si girava a guardare quanto fossi distante. Avrebbe dovuto portar pazienza, ci avrei messo un pò a venirne fuori. Fortunatamente il cielo terso regalava una vista spettacolare su Palermo e il mare in lontananza, che salutammo per addentrarci fra le montagne.

Ci eravamo dati appuntamento, con gli altri,  a Castellammare del Golfo, a circa 50km di distanza. Il percorso era bellissimo e inaspettato. Montagne verdi e rigogliose, da dove a volte, si riusciva ad intravvedere il mare. 

Sul percorso trovammo anche innumerevoli ciclisti, soprattutto in direzione contraria rispetto a noi, e tra una sosta e l’altra per immortalare il paesaggio cominciammo a scendere verso la costa. Il verde, le montagne e la quiete lasciarono spazio al traffico, le auto, i camion e i paesi anonimi. Ma la cosa che più c’infastidì fu il vento. Era lì pronto ad aspettarci per accompagnarci nel resto del viaggio.

A testa bassa, in scia, di Davide V. giungemmo finalmente a Castellammare del Golfo, sul lungomare dove il furgone ci stava aspettando. Subito dopo di noi arrivò anche Davide che non ci aveva mollati un attimo. Ci fermammo per un veloce break che interrompemmo a causa delle nuvole scure che, minacciose, si stavano avvicinando. Risalimmo in bici chiedendo agli altri di non allontanarsi troppo da noi, nel caso il meteo fosse peggiorato.

Parole sprecate al vento, come si suol dire…

Ci addentrammo verso il centro storico  e inforcammo la salita che ci avrebbe riportato sulla strada del percorso. La salita forse più impegnativa di questa tappa, resa ancor più complicata dalla presenza di numerose auto e furgoni che sulla carreggiata piuttosto stretta, rappresentavano un pericolo per noi. Ma non c’erano alternative. Era l’unica strada per uscire dal paese.

Il percorso proseguiva in mezzo alle valli, fra piccoli paesi, distese di ulivi, e il preannunciato temporale che arrivò, con i suoi goccioloni carichi di acqua, talmente grandi da sembrare gavettoni lanciati dall’alto di qualche balcone. In un attimo eravamo completamente zuppi. Non faceva freddo però e se non fosse stato per gli occhiali grondanti, gli occhi che bruciavano a causa della crema per il viso che si stava sciogliendo, avrei continuato a pedalare. In quel mentre intravidi l’auto di Davide che ci stava venendo incontro. Si accostò e ci disse di fermarci, non si poteva continuare. Più avanti c’era un’acquazzone ed era pericoloso continuare. Così rallentammo per attendere il furgone su cui caricare le bici.

Il cielo si era improvvisamente scurito mentre gli abbaglianti e il clacson ci avvisava dell’ arrivo del furgone. Ci saremmo riparati per un pò in attesa che il temporale passasse.

Dopo qualche km, ritornò il sole e così, fumanti per l’umidità accumulata, ritornammo in sella. Nessuno dei due si era cambiato, vista la temperatura gradevole.

Attraversammo la Valderice e giungemmo finalmente a Trapani.

In pochi chilometri eravamo passati da una Palermo, in alcuni tratti molto nordica, all’inequivocabile mediterraneità di Trapani. Una differenza abissale di atmosfera e profumi, non che a Palermo ci fosse odore di wurstel e crauti, ma qui il mio olfatto fu immediatamente catturato da un’invitante profumo di pesce arrosto e spezie che mi ricordarono il delizioso cous cous che alcuni ragazzi del posto, anni addietro, ci avevano preparato prima d’imbarcarci per Marettimo dove saremmo andati per un corso di apnea.

Avrei voluto lasciarmi trasportare da quei ricordi, giorni felici e sereni, in cui Davide, ancora autonomo era il mio compagno di apnea. Avevamo trascorso una vacanza bellissima, in un luogo meraviglioso, dove privi di pensieri e di zavorre, riuscivamo a scendere oltre i 20 mt, affidandoci l’uno all’altro e al nostro respiro. Ognuno era guida e compagno dell’altro e vigilava su di esso. Io ero la più conservativa e anche la più timorosa fra i due, mentre lui, spesso e volentieri azzardava, oltrepassando il limite.

Oggi i ruoli si sono ribaltati. Io cerco di superare i miei limiti e lui, agganciato ad una cima immaginaria, mi supporta.

Mi lasciai distrarre dai ricordi e persi la traccia. Non sapevo più da che parte andare. Attraversare una città è sempre un problema, così aspettai gli altri per condividere l’itinerario.

Trascorremmo parecchio tempo a cercare di districarci fra stradine, traffico, cartelli stradali inesistenti e rischiammo di entrare in autostrada, (mi capita ad ogni viaggio) e mentre cercavamo di capire da che parte andare, Davide, in auto, continuava a ridere e io con lui.

Mentre Pier, sceso dal furgone, cercava di fermare le auto per farsi dare indicazioni precise sul percorso.  Finalmente riuscimmo ad uscire dal labirinto e mentre il furgone  si diresse all’albergo, a Marsala, noi due scortati da Davide, riprendemmo la nostra pedalata. Faceva caldo, avevo fame e ogni volta che incrociavo l’auto mi riempivo le tasche di biscotti di mandorla, cominciavo a non averne più.  Gli ultimi km sembravano non finire mai. Inoltre la strada non era per nulla piacevole, anonima, piena di semafori che ci costringevano a perdere il ritmo e in più il mio Garmin continuava a dirmi che ero fuori rotta.

Ma anche questa volta, si arrivò a destinazione. L’albergo era nuovissimo e aveva una bellissima piscina, nella quale pregustavo il meritato ristoro.

Avevo un unico rammarico, quello di non essere riuscita a passare dalla zona delle saline.

Ma sarà anche la scusa per tornarci il prossimo anno.

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