Pensieri di Viaggio

Race Across Limits Sicily: da Agrigento a Donnalucata

Se devo essere sincera questa è la tappa che mi ha entusiasmato meno. Forse perchè sapendo che ero oramai in dirittura di arrivo, cominciavo ad avere un pò d’intolleranza verso tutto, e tutti. Comunque ieri, dopo essere arrivati ad Agrigento, aver trovato il nostro albergo posto proprio al di sopra della Valle dei Templi,  aver effettuato le solite operazioni, e aver accompagnato Davide in terrazza. Sono uscita a fare un giro per la città.

Girare mi permette di entrare in connessione con le persone, di capire le loro abitudini e di approfondire i loro stili di vita. Insomma mi da la possibilità di non fare la semplice turista. Così cominciai a camminare, in salita, verso il centro, in una zona al quanto triste, piena di locali abbandonati, vecchie case e un piccolo supermercato. Forse era una zona un pò periferica rispetto al centro, ma di entusiasmante non c’era nulla, per cui decisi, dopo aver effettuato un pò di spesa di generi di conforto: patatine, biscotti e poco altro ancora, di ritornare in albergo.

Raggiunsi Davide in terrazza, dove l’aria si era rinfrescata e rientrammo in camera. Qui avrei potuto sistemare un pò i bagagli prima di andare a cena. Anche questa stanza aveva un’accessibilità discutibile, a parte l’ampiezza, nulla faceva intendere fosse una camera per disabili. Non parliamo del bagno poi, che la doccia con relativo piatto e cabina in vetro, lo rendeva inutilizzabile per chi è in carrozzina.

Mi spiace dovermi rassegnare al fatto che in Italia, anche l’accessibilità, come tante altre cose è una parola liberamente interpretabile. Pur essendoci delle norme progettuali precise, l’accessibilità è un aggettivo facilmente equivocabile, interessa relativamente il fatto che non adoperarle correttamente precluda la libertà delle persone.  In questi dieci anni raramente ho trovato camera e bagno ideale, e devo anche ammettere che alcune soluzioni le ho trovate divertenti, creative, ma assolutamente inconcepibili per una corretta fruizione. 

Come architetto poi, è difficile che riescano a farla franca: conosco le norme e soprattutto le esigenze di chi è tetraplegico, per cui mi accorgo immediatamente se c’è qualcosa che non funziona, anche perchè diciamolo chiaramente, sono io che sollevo e sposto Davide e se qualcosa non è corretto è la mia schiena che ne risente. Eppure, il più delle volte quando faccio delle osservazioni in merito, lamentando carenze o disagi, molti gestori delle strutture ricettive mi rispondono -e anche con una certa supponenza-  che la colpa è del tecnico che ha firmato il progetto. Non si pongono neanche il problema di verificare che ci siano le condizioni per ospitare al meglio un disabile, gli interessa unicamente aggiungere la dicitura “accessibile” o camere per ospiti disabili, nella descrizione dell’hotel, salvo poi scoprire, una volta arrivati, l’inghippo.

Così dopo aver riconosciuto l’insufficienza anche a di questo albergo, ho cominciato a cercare un ristorante dove andare a cena e festeggiare il compleanno di Davide. Alla fine siamo ricaduti in uno dei locali adiacenti, dal risultato al quanto modesto, ma visto l’appetito, non è avanzato nulla.

Stamattina, alla buon’ora, mi sono svegliata e vestita. Fuori era ancora buio, le persiane erano rimaste aperte, ma non è stata la luce a svegliarmi bensì la mia sveglia naturale. Dopo essermi preparata ho tirato su Davide, con il quale siamo scesi a far colazione. In sala c’erano parecchi stranieri, soprattutto francesi di età avanzata, e noi riuscimmo a malapena a trovare un tavolo.

Volevo stare almeno un’ora senza parlare e soprattutto senza ascoltare nessuno, ma il mio desiderio doveva rimanere tale, la folla concitata non mi permetteva di starmene in pace come avrei voluto. Mi sono immaginata comportarmi come i bambini che, quando vogliono mettere a tacere ciò che non gli piace, si coprono le orecchie e cominciano ad emettere suoni. Sorrisi all’idea di come sarei stata guardata dagli occupanti della sala. Ma neanche questo riuscì a calmare l’irrequietezza presente con la quale avrei dovuto fare i conti, tutto il giorno.

Riuscimmo ad uscire dall’albergo alla solita ora. Una lunga discesa, contornata dai templi che ergevano maestosi, ci accompagnò fino alla strada principale, trafficatissima, piena di camion e auto, dove però c’erano i cartelli con indicato di fare attenzione ai cicloturisti.

I ragazzi, abbastanza preoccupati per la nostra incolumità, cercavano di non scostarsi troppo da noi e questa cosa m’innervosì ulteriormente. Niente, oggi dovevo convivere con questo stato d’animo urticante.

Davide V. come al suo solito, era davanti a tirare e ogni tanto si girava, per vedere se rimanevo a ruota, ma le gambe e soprattutto la testa erano restie a farlo. Attraversammo paesi anonimi, percorremmo strade noiose. Insomma neanche il paesaggio voleva aiutarmi.

Cercai così di concentrarmi sul gesto del pedalare, sulla pedalata rotonda, una sorta di mantra che se ripetuto riesce a mettermi in quella condizione di mindfulness, del qui e ora.

Diventare consapevole di quello che stavo facendo, di ciò che stavo provando, dei pensieri che volevo allontanare e soprattutto degli stati d’animo che volevo modificare mi aiutò a superare quel senso di malessere, che non sapevo tra l’altro a cosa attribuire.

L’obiettivo di oggi, oltre ovviamente quello di arrivare a destinazione, era di accontentare i ragazzi del furgone che volevano farsi un pò di spiaggia e perchè no, anche me e Davide, amanti del mare. Nei pressi di Gela, non appena la traccia ritornò ad essere lungo la costa, ci fermammo a chiedere indicazioni, per una gelateria innanzitutto e per una spiaggia, successivamente.

Chiedemmo ad una signora in tenuta da jogging, che fu ben lieta, non solo di fermarsi a parlare ma anche di accompagnarci in auto, alla prima gelateria. La seguimmo e arrivammo nel paese, un pò più animato di quelli attraversati precedentemente. Una classica località di mare dove la temperatura era tipicamente estiva eppure, gli unici vestiti leggeri, eravamo noi. Come ci disse la signora, ottobre anche se fa caldo, è considerata una stagione autunnale e come tale le abitudini, l’andare al mare, mangiare la granita, a parer loro prettamente estive vengono sostituite con il caffè caldo, l’eventuale passeggiata sul lungomare e abbigliamento un pò più coperto nonostante la temperatura.

Noi per loro eravamo quelli che scesi dal nord, non al corrente delle usanze locali, cercavamo il gelato e la spiaggia, insoliti.

Ci fermammo per una sosta e assieme alla granita riuscimmo anche ad avere l’indicazione cercata: la spiaggia di Scoglitti. Una località che avremmo trovato lungo la strada verso Donnalucata e che non prevedeva alcuna deviazione. Mentre io e Davide V. ripartivamo con la bici scaldata dal sole, gli altri si recavano in centro per acquistare qualcosa da mangiare una volta arrivati.

Mentre pedalavo mi accorsi che il mio umore era tornato alla normalità: entusiasta. L’accoppiata granita, mare, aveva completato l’effetto innescato dalla mindfulness.

Le strade erano semi deserte. Non c’era quasi nessuno in giro. Queste località che, in estate erano sicuramente affollate, in ottobre erano abbandonate. Si trovavano solo squadre di muratori che ristrutturavano appartamenti o costruivano nuove palazzine, e davanti ad una di questa, dove i ragazzi si erano già fermati, con mio enorme stupore c’era un bellissimo scivolo per disabili, tutto in legno che arrivava fino alla spiaggia. Faceva parte di un centro velico in costruzione e il capocantiere ci fece utilizzare lo scivolo senza problemi.

Accompagnammo Davide fino quasi al mare e lì ci fermammo. La giornata era splendida, il mare mosso, e sulla spiaggia qualcuno passeggiava e dei ragazzi stranieri facevano surf. Una distesa enorme di spiaggia tiepida e soffice, l’acqua troppo fresca per me rispetto al caldo invito della sabbia, alla quale non seppi dire di no. Mi sdrai lasciandomi avvolgere da quel tepore in grado di allentare qualsiasi tensione muscolare ma anche emotiva.

Il nostro viaggio era quasi al termine. L’indomani saremmo arrivati a Noto e per l’ultimo tappa ci aspettava l’ascesa all’Etna. Anche questa avventura, così lunga e impegnativa sulla carta e nella preparazione era sfuggita via velocemente, come quando cerchi di chiudere il pugno pieno di sabbia asciutta…vola via in un istante. E ti rimane solo il ricordo di quello che è stato e le foto a ricordarti di quanto sia stata appassionante.

Mi spiace solo che questo viaggio non sia stato accolto come speravo, ma la particolarità e difficoltà dell’anno in corso non hanno certo, favorito l’affluenza delle persone. Per me è stata comunque un’esperienza importante perchè la presenza di Davide, oltre ad avermi sostenuta, mi ha aiutato a capire che si può ancora pensare all’avventura. Che si può prendere e partire, come si faceva una volta, senza preoccuparsi troppo di quello che si dovrà affrontare. E non è poco.

Per la prima volta vedo anche Davide V.un pò più coinvolto, vuoi vedere che alla fine, anche lui si è fatto catturare dal fascino dell’isola? Stanco decide di andarsi a riposare al fresco del pulmino, mentre noi ci godiamo i raggi di quel caldo e rilassante sole.

Terminiamo la tappa così, raggiungendo il nostro agriturismo sperso nei campi di una Donnalucata agreste e rurale. Una piccola oasi la cui pace viene interrotta dal continuo chiacchericcio del proprietario e dei compagni di viaggio.

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